Scrive DaniloDRZ
Peppe, GiorgioN, Paolo, Serjeck, DaniloDrz, Marcello, Cesare, SergioP, Giampalo, Valerio. Ebbene sì, siamo in 10. Il giorno 3 ottobre dell’anno domini 2024 alle ore 17:30 in fila per accedere all’imbarco per Napoli, ci siamo tutti … Nicola e Maurizio ci sono venuti a salutare e a farsi 4 risate, ovvio, vedendo quello cui cade la moto parcheggiata (Cesare), l’altro con una fiancatina sciolta sullo scarico a causa della borsa laterale (SergioP), altri che non riescono a scendere dalla moto incastrati tra bagagli e doppi zaini… insomma non si è apparsi proprio ben assortiti …. Ma come sempre, non ci siamo arresi: tira su la moto, metti distanziali improvvisati tra marmitta e borsa e, dopo foto di rito, in qualche maniera riusciamo a passare i controlli imbarco …
Il mare è mosso, si teme che arriveremo in ritardo, ovvero oltre le 10, e il meteo segnala possibili piogge che ci attendono nella capitale del Regno delle Due Sicilie.
Invece la mattina del 4 ottobre ci affacciamo sul ponte assolato a mirare la skyline di Napoli e curiosare le manovre di attracco, in orario accettabile.
Prima tappa (La sagra del fungo).
Dopo un piccolo smarrimento collettivo, Peppe prende il controllo del gruppo e imposta il navigatore verso il centro abitato di Amorosi: l’idea è di saltare un pezzo di traccia poco enduristico che passa per paesini e centri rurali a nord di Caserta. 30km di statali che ci consentono di recuperare tempo. Ad Amorosi facciamo il pieno, il benzinaio insiste a dirci che non potevamo perderci la sagra del porcino in corso a Cusano Mutri, ma è totalmente fuori traccia; pertanto, abbozzo e andiamo a procurarci dei panini per il pranzo.
Alle 12:30 circa, finalmente siamo in traccia. Il progetto della prima tappa prevede di salire sul parco del Matese, raggiungere l’omonimo lago e riscendere verso il paesotto di Prata Sannita dove ci attende il primo giaciglio/cena e colazione.
Pochi km e ci troviamo a percorrere le stradine di campagna, c’è il sole ma è chiaro che la notte e i gg precedenti ha piovuto copiosamente, pozzanghere e fango viscido lo confermano. Sono davanti e incappo in un piccolo apparentemente innocuo guado …. apro il gas e vado, fill’e barabba…. Corrente, pietre grosse nascoste e acqua oltre il mozzo mi fanno prendere una strizza. Passo e mi giro a guardare lo spettacolo....
Passiamo tutti, giusto qualche stivale bagnato. Proviamo a dividerci in due gruppi per navigare la traccia più agevolmente con scarso successo: troppi bivii, ancora non siamo rodati, chi chiude si trova in mezzo, chi apre si trova dietro... Unu casinu.
Io, SergioP, Serjeck e Giampaolo siamo davanti e ci fermiamo all’imbocco del primo sentiero della tappa per compattare il gruppo. Passano i minuti e niente, nessun rumore di moto, chiamiamo non ricordo chi e decidiamo di tornare indietro. Dopo pochi km troviamo tutto il gruppo intento a verificare lo stato di salute di Peppe. E già, purtroppo quel fangazzo su asfaltino di campagna ha provocato una caduta non banale, la moto è ok ma Peppe lamenta fastidio alla mano dx e indolenzimento della caviglia e del ginocchio sx.
Non se la sente di proseguire e decide di andare per asfalto direttamente a PrataSannita. Decisione saggia, a caldo non si ha idea dei danni.
Restiamo in nove ad entrare nel sentiero di FontanaValleGioia.
Bosco, terreno insidioso e pendenza non banale, ma il grip c’è e si sale, basta impegnarsi un attimo. Usciti dal sentiero imbocchiamo una vecchia strada abbandonata, ripida e scassata piena di tornati stretti, che porta a Piana del Campo. Mi metto dietro, voglio salire con il mio passo ed evitare di stancarmi troppo, so che se avessi esagerato poi l’avrei pagata nelle tappe successive. Arrivati alla Piana ci si apre il classico mare di erba verde che riempie gli occhi, in lontananza vedo le moto dei primi che guidano in piedi.
Figata.
Sono appena passate le 14:00 il sole si è imboscato e ci fermiamo a mangiare il panozzo, mezz’ora dopo torniamo in sella. Si sale ancora, cade qualche gocciolina di pioggia, la strada è viscida e suggerisce una guida prudente. Nel sottobosco pozzanghere di fango che ingoiano le ruote, la pioggerellina insiste, poi la strada finisce. La traccia indica una ripida salita da capre, Giorgio prova a percorrerla ma suggerisce di gettare la spugna.
Tentiamo qualche altra via ma nulla, il bosco continua a sputarci fuori. Torniamo indietro e ci rituffiamo nella fangazza di prima, fino a incrociare una stradina di montagna che ci proietta nel paesino di fondo valle. Smette di piovigginare e decidiamo di cercare un baretto. Siamo palesemente fuori traccia, 20km più a est. Il paesino si chiama Cusano, già proprio quello che il benzinaio voleva insistentemente che visitassimo, dove si svolge la sagra del fungo, che però è sospesa causa pioggia.
Al baretto accanto al distributore ci arriviamo scortati da due ragazzi del paese con motorini preparati. La gente di queste zone si conferma ospitale e accogliente, anche nel barozzo ci intrattengono in chiacchiere curiose, salutiamo, benziniamo e ripartiamo.
È tardi dobbiamo recuperare e si va per stradine agricole guidati dal navigatore di Giorgio. Lambiamo il confine con il Molise e arriviamo a Bocca della Selva a 1400 mslm, molto vicini alla traccia. In teoria avremmo potuto riprendere la via in off-road, ma c’è freschino e la discesa al paese passa da una ripida pietraia che, bagnata e con poca luce, è meglio evitare. Abbiamo ancora 4 tappe che ci aspettano, si va per asfalto.
A PrataSannita c’è già Peppe che ci aspetta nella masseria Mastrangelo. Arrivati al paese, alcuni di noi accolgono il suggerimento di Giampaolo di fare subito il pieno in modo da recuperare tempo la mattina seguente.
Le moto sono tutte dello stesso colore, marrone, e le targhe non sono leggibili.
Dei vecchietti appollaiati al distributore ci indicano un autolavaggio vicino. Espletate le funzioni andiamo in masseria, siamo di nuovo in 10.
A me, Giorgio e Paolo ci viene assegnata una camera tripla ma che si trova in un paese vicino. Quando ci arriviamo mi accorgo che il luogo mi era familiare…. Ciorlano, ma certo, è lo stesso paese dove l’anno scorso siamo passati in 4, attraversandolo in discesa e percorrendo le viuzze con scale, dove gli abitanti stupiti e divertiti ci indicavano la direzione più agevole per uscire dal labirinto.
Peccato per il vino imbevibile, cena dignitosa e in dieci è sempre una festa. Peppe ha la mano gonfia, il ginocchio pare meglio ma la caviglia non ci siamo, lo impomatiamo a dovere e lo mettiamo a nanna.
Appuntamento per tutti alle 9:30 del 5 ottobre 24 a Ciorlano da dove si attacca la seconda tappa.
Seconda tappa (La transumanza).
A Ciorlano ci raggiungono in 6, mancano Peppe e SergioP, che ha scelto di iniziare la giornata rilassato e accompagnare Peppe per un pezzo di asfalto. Abbiamo concordato una serie di punti dove rincontrarci e fare insieme almeno le parti in asfalto. Primo appuntamento a Venafro.
Non possiamo attraversare Ciorlano per le note viuzze con scale un'altra volta, prendiamo quindi una variante cercata la sera prima tra le coperte prima che morfeo agisse.
Superiamo un cancelletto e ci troviamo a percorrere una vecchia cengia in pietra che si rivela veloce e divertente, ottima per il risveglio muscolare.
Torniamo nella traccia programmata e proseguiamo per strade sterrate in salita che disvelano panorami per noi isolani insoliti, siamo nel parco eolico di Ciorlano. Non c’è polvere e gli scalmanati, Cesare, Valerio, Marcello, con Paolo che fa l’elastico, si lanciano a velocità rallistiche, mentre gli altri si godono il paesaggio e scattano qualche foto … Questo andazzo dei veloci e dei dietristi sarà mantenuto per tutto il viaggio …ed è giusto così.
A Venafro riagganciamo Peppe e SergioP che decide di rimettersi in traccia con noi. Peppe ci molla ancora, lo ribeccheremo al paesino di Sant'Elia Fiumerapido per lo spuntino del pranzo.
Percorriamo la stradina provinciale di Conca Casale, in mezzo al verde incrociando poche auto, abbandoniamo la Campania ed entriamo nel Lazio. Superato il paesino di Viticuso ci imbattiamo in una mandria di mucche bianche, ci fermiamo a motori spenti sul bordo strada ma le mucche non voglio saperne di passarci accanto, il vaccaro innervosito tenta inutilmente di spingerle. A un certo punto si rivolge a noi parlando in aramaico antico con tono risoluto, non saprei fare la traduzione esatta ma abbiamo capito che dovevamo levarci dai cogl….. Ci imboschiamo con le moto in una traversa nel bosco e le mucche cominciano a fluire …. stiamo assistendo alla transumanza, ne passa una, due, tre …. ma quante cappero sono? Tante.
Ripartiamo e ci infiliamo nel bosco e percorrendo un bel tratto di OR variegato, arriviamo da Peppe.
Mangiamo in una pasticceria che oltre ai dolciumi offre pane fresco, companatico e birre da consumare comodamente seduti nei tavolini maiolicati…. La pasticcera era un po’ ammurvonata, ma per quanto mangiato (dolce compreso), bevuto, e speso poco, ci è sembrata pure simpatica.
Benza di gruppo e si torna in traccia. Pochi km dopo superiamo Valvori e da lì la traccia torna ad essere più endurosa restando comunque gradevolmente veloce, temperatura ideale, poco sole, ma niente polvere. Ricordo che l’anno scorso in quattro dovevamo stare a distanza per vedere la strada…. Questa volta è decisamente meglio, attraversiamo i monti della calce solcata, e risaliamo da una bella mula tecnica che ricordavo in discesa…. Poi una lunga scala pietrosa in discesa che ci riporta nella Valle solcata dal fiume di Mollarino.
Restiamo ancora fuori dalle strade asfaltate fino a Villa Latina. Inizia a piovere, poco ma bagna, ci fermiamo per adeguare l’abbigliamento alle condizioni meteo. Mancano 27 km per chiudere la tappa di Sora con nanna ad Arpino, 25 se passiamo all’asfalto …. Decidiamo più o meno democraticamente di stare in traccia. Un guado, poi stradine di campagna, poi un fuoripista su erba accanto a campi coltivati, le moto sembrano anguille che stanno per essere schironate ….. ormai siamo bagnati tanto vale divertirci. Superiamo il paesino di Alvito e ci infiliamo in uno stradello in salita evidentemente poco battuto. La vegetazione è sempre più chiusa, continua a piovigginare ed è chiaro che stavamo infilandoci in un buco di c…. mancano 10km per chiudere la traccia (C’eravamo quasi), ma non è cosa. Usciamo.
Ma non è finita, ad Alvito bisogna impostare il gps modalità navigazione, tipo “Google portami ad Sor’arpito, ah no, portami a Sor’arpino… ma come cazzo si chiama sto posto?” urla SergioP, inveendo contro Giampaolo e me che gli ridiamo in faccia. La destinazione è Arpino country-hotel “il ciclope". Beh! Alla fine tra chi imposta il garmin, chi maps, chi fa le statali chi no …. Arriviamo a destinazione in ordine sparso. Peppe in modalità locandiere ci assegna le camere. Dopo la doccia calda tutti si pongono il problema di cercare di asciugare gli unici pantaloni da enduro portati o gli unici guanti, gli unici stivali …. Accendiamo le pompe di calore, ma non basta. La soluzione più efficace la escogitano Cesare e Paolo che scovano una stufetta con ventola da 2000w, la accendono nel bagno per tutta la notte, in pratica creano un essiccatoio. Ceniamo presto, a parer mio la cena e la colazione più valida del giro.
Terza tappa (Il Bullone).
E siamo arrivati al giorno 6 ottobre 2024 …. Peppe migliora ma non se la sente di rischiare, spera di poter fare qualche pezzo “facile” più avanti. La terza tappa è un’avventura nuova per tutti, non so dove andremo né cosa troveremo, e infatti. La mattina sistemiamo i bagagli, ingrassiamo la catena e andiamo a fare il pieno.
Il sole splende e dopo pochi km siamo già in traccia, subito ci infiliamo in sentieri e mule che entrano ed escono da boschi e campagne. È domenica, giornata di caccia, nel bosco scorgiamo cartelli che ci indicano la presenza di una battuta di caccia in corso, ma la nostra traccia si infila proprio lì. Lungo una mula in salita cominciamo a vedere uomini con gilet fluorescente e fucile in mano. Sono il penultimo e mi fermo ad aspettare Giampaolo che è dietro, proprio accanto a un cacciatore in posta che non è per nulla infastidito dalla mia presenza, anzi ci parliamo io mi scuso e lui mi dice sorridente: “vabbè, oramai, magari spingete il cinghiale dove serve” ….. arriva Giampa, mi rimetto dietro a fare il lavoro che doveva fare Peppe e proseguiamo.
La strada comincia a salire, sempre più ripida e sempre più tecnica, mi sto divertendo un sacco e a giudicare dalle sgommate sul terreno, non sono il solo.
Siamo quasi in cima, dobbiamo superare monte Pedicino e scendere a Prato di Campoli. Supero un suzuki Jimny che si arrampica lento e arrivo allo spiazzo dove ci sono gli altri che frugano il bosco a piedi in cerca del passaggio. Giorgio prova a salire e ci riesce per un breve tratto …. Lo sentiamo strattallare il suo 2 tempi. Torna giù scoraggiato, nel frattempo ci raggiunge il Jimny che parcheggia e scende un giovane ragazzone. Conosce il posto, oltre ad andarci a funghi si diverte con un ktm 250 4T. Conosce perfettamente lo "stradello", così chiamano i sentieri asparagosi, dove vorremmo passare; lui ci è passato più volte, ma oggi l’erba è bagnata, il terreno è viscido e ci dice che non ci andrebbe. Anche ammesso che riuscissimo ad arrivare in cima, poi la discesa sarebbe tosta. Insomma, lassa perdi!
Torniamo giù per circa 5km e prendiamo una variante verso nord che si rivela uno “stradello” scassato, per fortuna in discesa, che punta all’unica strada asfaltata per Prato Campoli. Io, Valerio e Cesare siamo avanti e ci fermiamo appena fuori il tratto scassato. Dopo poco sbuca qualcuno che ci dice che gli altri sono fermi a soccorrere SergioP che ha il freno posteriore fuori uso perché ha perso un bullone da 6cm su cui è imperniata la leva del freno.
Paolo ci mette una pezza e scendono tutti. Ci fermiamo e cominciamo tutti a frugare tra attrezzi e scorte per cercare un bullone da 6cm, niente da fare, fermiamo pure 3 giovani enduristi, come sempre gente simpatica. Nulla, chiamiamo Peppe e gli diamo il compito di scovare l’agognato bullone. Si è fatto tardi, Peppe ci aspetta ad Arcinazzo per fare un pezzo di traccia e mangiare insieme a Campo Rotondo.
Scegliamo di andare per asfalto, vedo il cartello che indica Prato di Campoli, poi quello che indica la salita a quello che sarebbe stato uno dei pezzi forti della traccia, Campocatino. Mi consola comunque una bella strada che conto di fare in un prossimo moto-tour stradale.
Alle 13 siamo con Peppe ad Arcinazzo, che nel frattempo ha recuperato il bullone. Il ristoratore di Camporotondo ci rassicura che anche se arriviamo alle 14:00 gli arrosticini ci aspettano.
Camporotondo è in Abruzzo a 3km dal confine con il Lazio, ci siamo incappati causa guasto pedana di Alberto l’anno scorso, questa volta però siamo in traccia.
Per arrivare a Camporotondo c’è da fare un tratto di sterrate, forse è l’unico fuoristrada che facciamo tutti e 10, Peppe compreso. Ma all’arrivo confessa il suo disagio e preoccupazione per lo stato della caviglia, la mano andrebbe pure bene.
Questa volta niente panozzi, arrosticini abruzzesi come se piovesse, pranzo relax. Consumato il lauto pasto c’è ancora un terzo della traccia da completare. Don Puddu è titubante, la pancia è piena e il freno ancora rabberciato, medita di fare l’ultimo tratto in asfalto. Ma Paolo prende il bullone recuperato da Peppe, si butta letteralmente sotto la moto e bullone da 6cm, dado e controdado e il freno è meglio di prima.
Bagata la prima scusa, sulla stanchezza abbiamo lavorato sulla psiche, “dai che stiamo arrivando”, il pezzo più bello è il prossimo”, “quando ti ricapita”, alla fine SergioP cede.
Meno di 500mt dal ristorante e siamo in traccia, altrettanti per cominciare a mirare un’immensa distesa di erba verde davanti a noi. Siamo a 1300 mslm senza dirci nulla, ognuno prende la direzione più gradita e apre il gas… non si capiva più chi fosse davanti chi dietro, chi saliva sulle collinette, chi sui sentieri, 15km di delirio.
Arriviamo a Pian del Pozzo dove finisce il pratone e torna il bosco, poi ancora sterrata e la vegetazione si riapre. Obbligatoriamente dobbiamo cominciare a scendere di quota, la traccia si infila in un sentiero nel bosco che punta diritto a valle. Sono passate le 17:00 poco sole e quel sentiero ci è apparso piuttosto cupo.
Ancora una volta Giorgio si butta a verificare di cosa si tratta, lo sentiamo stressare la sua motoretta e a un certo punto si sente “passare si passa ma è una MERDAAA!”.
Bene, saltiamo un pezzo di traccia passando nella Marsia, ex località turistica montana con evidenti segni di degrado. Superiamo Roccacerro e torniamo in traccia imboccando una bretellina da capre che ci fa saltare la galleria ferroviaria di Tagliacozzo.
Superiamo il borgo di Poggetello e siamo di nuovo in OR su stradine di campagna raccordate da varianti poco trafficate, una di queste è un campo di erba, non l’erbetta verde dei pratoni, è alta, molto alta e nasconde delle core da paura. SergioP è davanti, segue Giampaolo, io e dietro ci sono Paolo, Serjeck e Giorgio.
In sequenza: cade SergioP, Giampaolo si pianta, io provo a cambiare direzione ma le core sono tante e cado, Paolo prova ad andare sulla destra ma uscendo trova un fosso, apre ed esce, ma non sa nemmeno lui come ha fatto, poi è il turno di Giampaolo, e andiamo avanti così gente che cade e che ricade nella soffice erba.
Risate ma anche sforzo per uscirne…. Riprendiamo su stradine fino alla frazioncina di Scanzano (Castellamare di Stabia) che superiamo seguendo la traccia. Arrivati oltre ci fermiamo davanti a una strana rampa di 2 mt con fondo di gomma posta all’imbocco del sentiero, accanto a un’abitazione con cancello. Non ricordo chi di noi palesa le sue perplessità a proseguire, in effetti tutto aveva l’aspetto di un luogo privato; invece, si apre il cancello e sbuca fuori un sorridente signore di età avanzata che ci dice: “Che fate? Non salite? sono già passate altre moto, su su… l’abbiamo fatta per voi”, benché stupito non perdo tempo, butto la prima e salgo.
E’ quasi buio, sentierino stretto ed esposto sulla destra, con ostacolo fetente su pietra dove sgambetto per superarlo, arrivo su e leggo cartello |Sentiero dei briganti>. Aspetto gli altri e gli scatto qualche foto.
Manca poco alla meta, la sterrata finisce a Marano dei Marsi, altra frazioncina abruzzese; da lì Giorgio imposta maps per fare i 10km mancanti per hotel “La Duchessa” periferia sud di Corvaro, si torna nel Lazio.
Tappa quattro (La targa non c’è più).
La mattina del 7 ottobre abbiamo un piccolo problema da risolvere prima di partire: la ruota anteriore di Giorgio è forata, va sostituita la camera. Smontiamo la gomma e scopriamo che la camera montata, oltre ad avere parecchie pezzette di vecchie forature, era da MTB…. avete capito bene, Giorgio gira con una vecchia camera da bici montata su una KTM-freeride 2T.
La traccia 4 è per tre quarti la stessa dell’anno scorso, ma al contrario, quella che non finimmo perché Paolo cadde in una discesa a 18km dalla fine, che ora sono i primi. Salutiamo Peppe, che conta di beccarci in alcuni punti dove la traccia incrocia l’asfalto e ci dirigiamo a Castel Menardo. Superate le 4 casette troviamo l’attacco della traccia. Davanti ci sono i veloci, lascio che vadano e parto anche io, ma neanche 100 metri dopo li trovo tutti fermi che aspettano il verdetto di Marcello che si arrabatta a superare un ostacolo viscido nel fitto bosco. La sentenza è “non si sale”. Non è facile aggirare l’ostacolo, decido di saltare tutto il bosco, è destino che non riesca a fare questi 15km di traccia. La traccia riparte dalla discesa di Paolo, ora salita di Paolo, detta anche la “salita del disonore”. Ma c’è Peppe che ci aspetta 4km più avanti all’uscita del pezzo mollato. Vado ad avvisarlo, gli arrivo alle spalle e lo trovo intento a guardare verso la stradina della traccia pronto a scattarci le foto. Scopro che è a corto di carburante, troviamo una bottiglia di plastica e gli passo un litrozzo di benza. Torno dagli altri e prendiamo la salita, che si rivela ripida come la ricordavo ma stavolta il terreno non è secco e insidioso, anzi, grip perfetto per salire tutti allegramente.
Una serie di sterrate veloci ci avvicinano all’altopiano di Rascino, …. Uno dei più estesi degli appennini centrali, corredato da omonimo lago, da lì si salta all’altopiano del Cornino, anch’esso provvisto di omonimo laghetto. Aggiriamo il laghetto, sempre in modalità “ognuno passa dove gli pare”, e ci fermiamo a guardare i veloci che stanno salendo un single-track, unica via d’uscita per tornare a valle. Mi accorgo subito che sono saliti troppo e quindi sono fuori traccia, che invece sale per metà costone poi rimane in quota fino al valico.
Vedo SergioP con la moto a terra, Paolo che gli passa accanto e Giorgio che, capito l'arcano, sta tornando in traccia. Salgo senza troppi affanni, mi fermo una sola volta per togliere un masso pericoloso posto al centro della via migliore. Chi segue la traccia sale senza problemi. Messo via il primo single della giornata continuiamo per mulattiere e sterrate veloci con tornanti stretti fino a Rocca di Corno 950 mslm, 300mt di asfalto e si risale sempre per sterrate e mulattiere per tornare sopra il 1100 mslm, abbiamo un buon passo e siamo dentro il tabellino di marcia. Si torna giù fino a Borgo Velino 450mslm. Siamo in asfalto sempre su stradine secondarie, ci infiliamo nel centro storico del borgo di Paterno superiamo un micro-cimitero ed entriamo nella sterrata della pineta sopra Cittaducale, dove avremmo incontrato Peppe; invece, in una delle prime curve lo incrociamo in senso opposto. Peppe aveva già valutato tutte le opzioni per lo spuntino di mezzodì e ci indica senza indugio di scendere alle terme di Cotilia dove ci sono varie paninerie note per la porchetta, scegliamo quello prima dei F.lli Crosti con tavoli all’aperto ma sotto tettoia visto il cielo plumbeo.
Sosta relax e pancia piena ma è ora di tornare in sella, non piove ma minaccia seriamente e anche la temperatura suggerisce ai più di indossare il kway. Riagganciamo la traccia alla stazione di Cittaducale, attraversiamo il ponte del fiume Salto, lambiamo la periferia sud di Rieti e ci rimettiamo in offroad alternando tratti di stradine secondarie; dalla frazione di San Filippo si ricomincia a salire e con pochi km di strada bianca ci riportiamo oltre i 1000mslm: tornano i paesaggi appenninici, i prati verdi, le vecchie casette dei pastori di “Prati di Sopra”, I “Prati di Cottanello”, i fuoripista passa dove vuoi…..io so che sono gli ultimi paesaggi bucolici del giro e me li godo senza correre, stando dietro, staccato abbastanza da non vedere chi ho davanti...
Ci ricompattiamo all'eremo di San Cataldo, percorriamo qualche km di asfalto in fondo valle fino al micro-comune di Configni, da dove iniziamo l’ultimo tratto di Off. Manco a dirlo si sale, arriviamo fino a un cancello in ferro, posto proprio nel confine del Lazio, Cesare lo riconosce, era quello che l’anno scorso sembrava chiuso e invece il passo d’uomo è apribile, lo saltiamo e siamo in Umbria.
Da lì inizia l’ultimo single del giro, niente di brutto, ma con qualche tratto scivoloso e in contropendenza che a fine giornata può giocare brutti scherzi. Stavolta a farne le spese tocca a Giampaolo, caduta del cavolo, ma se hai la moto sopra la caviglia te la stressa. Con l’aiuto di Giorgio che chiude il gruppo torna in sella. Percorriamo una nuova mula fino alla strada che porta a Calvì dell’Umbria che percorriamo per 5km e chiudiamo la tappa. Ma la targa? E sì perché manca una targa all’appello, ovvero quella di SergioP. Non si sa dove l’ha persa ma io ricordo la sua moto sdraiata nel single del laghetto del Cornino, chissà.
Intanto Peppe ha trovato lavoro come locandiera dell’unico due stelle della zona, non scherzo, è lui che ci dà le chiavi, ci smista nelle camere, ci fa sistemare le moto nel tugurio etc. La locandiera è intenta a prepararci la cena perciò ha delegato Peppe. Dopo la doccia calda, troviamo il tempo per fare un giro nel borgo vecchio e berci una birra nella terrazza che si affaccia in valle.
Quinta e ultima tappa (l’apocalisse).
La sera del 7 ottobre a cena, uno degli argomenti principali era il meteo dell’indomani, gli altri argomenti potete immaginarli. La tappa del giorno del rimpatrio è volutamente breve e prevede un enduro divertente ma tranquillo e curioso. La parte dell’Etruria con la stradina che passa tra le tombe è imperdibile.
Il meteo, anzi i meteo, perché li abbiamo guardati tutti, sono contrastanti e in continuo cambiamento, ma decidiamo di dare retta al più ottimista; pertanto, si decide che l’indomani dopo colazione pieno etc. si sarebbe fatto un bel tratto di asfalto, se non ricordo male da Calvì fino a Vignanello, da lì entrare in traccia per uscirne in base al meteo e/o al tempo disponibile, questo perché si sperava che la pioggia arrivasse tra le 13 e le 14 circa.
E siamo all’otto ottobre, ci siamo tutti, anche Peppe farà tutta la strada con noi, in effetti partiamo che c’è il sole e ci facciamo come da programma l’asfalto stabilito. Arrivati in periferia di Vignanello riprendiamo la traccia entrando in una strada che attraversa un castagneto di 90 ettari su un terreno asfaltato a tratti sgommando sulle castagne cadute……
Sono l’ultimo e a un certo punto li trovo tutti fermi a mirare la macchina raccogli-castagne. Soddisfatta la curiosità rimettiamo in moto i bolidi, o meglio 9 rimettono in moto, ad uno non gli parte la moto, lo so a chi state pensando, a Sergio, e ci avete azzeccato, ma non il solito Sergio bensì l’altro, a Serjeck non gli parte la moto. Ecco la sequenza: 1) controlla la benza, benza c’è e mette in riserva. 2) Hai bruciato la candela, leva e cambia la candela. 3) la candela di scorta non va bene usa quella di Giorgio. 3) la candela dà corrente “rimetti a posto la CANDELAAA”. 4) smonta il fianchetto per vedere roba che sa Paolo. 5) occhio che la batteria sta soffrendo. 6) chiama il carro attrezzi. 7) Controlla l’olio, no, l’ho riempito ieri l’altro. 8) lo trainiamo, in salita con le castagne manco parti. 9) prova a strappo in discesa, cazzo ha messo in moto e tutti “fiuuu siamo salvi”, molliamo la traccia e scappiamo al porto prima che arrivi un fortunale.
E così, ci mettiamo tutto ciò che abbiamo portato contro la pioggia e puntiamo a Civitavecchia. Ovviamente i gps vari indicano strade diverse e non mancano momenti di smarrimento. Comincia a piovere in modo sopportabile, sono le 11:00 il meteo ottimista ci ha fregato. Peppe è ultimo e io penultimo, la pioggia si intensifica ma ancora sono asciutto. In una curva tocco il freno posteriore ma la ruota non aggancia l’asfalto inondato e mi gioco un jolly andando lungo, fortuna non ci sono auto nell’altra corsia. Aggiriamo il lago di Vico, la pioggia non ci molla e arriviamo al bivio tra Barbarano Romano e Bracciano, dove ci fermano i carabinieri per chiederci se abbiamo bisogno d’aiuto mentre Valerio nasconde la Non Targa di SergioP con la ruota anteriore. Ripartiamo, pochi km e Giorgio che fa il navigator si ferma a un distributore, mancano 60km è saggio rifare il pieno, provvediamo, smette di piovere, mentre riforniamo. Cazzo, la moto di Serjeck non riparte, io e Giorgio gli diamo una spinta in discesa e si riaccende, nel frattempo ricomincia a piovere.
Sono le 12:30, tutti sogniamo una sosta all’asciutto magari in una trattoria ….sono ancora l’ultimo e davanti ho Serjeck. Appena 3km e vedo la moto di Serjeck che scoda a dx e a sx come se avesse inchiodato, si accosta sul bordo, mi accosto a lui che urla “Ho GRIPPATO”....
Prova usare il bottoncino nulla, la pedivella è bloccata, cazzo ha grippato davvero…Paolo è il primo che torna indietro, io stavo già sistemando la cinghia sulle forche per trainarlo, Paolo fa lo stesso sul suo posteriore, quello della moto intendo. Mettiamo poi la corda con i moschettoni e inizia il traino, mancano 45km al porto.
La pioggia ora non è più pioggia, sono secchiate o gavettoni, mi metto dietro e con l’abbagliante cerco di farmi notare dalle auto che immagino che, come me, non vedono una cippa. Avanti ci sono Giorgio e Cesare che fanno strada e monitorano situazioni di pericolo, che poi era tutto un pericolo. Nelle deviazioni trainare è più difficile, per non parlare dei semafori o incroci a raso con il traffico pesante. Un autoarticolato rallenta il traffico creando un lungo trenino di auto e in mezzo ci siamo noi, la cosa però sembra che ci agevoli, troppo facile così, allora arriva il vento, ma non una brezza di vento, raffiche forti che fanno spostare le moto, facendole ondeggiare o camminare come in curva ma sul rettilineo, non riesco a pensare cos’altro ci manchi. Grazie alle scelte del navigatore di Giorgio, percorriamo tutte strade secondarie poco trafficate, quando mancano circa 15 km, in una curva a gomito la stanchezza e la tensione fanno cadere Paolo, nulla di grave. Aggancio la corda al mio telaietto e do il cambio a Paolo. I gavettoni e le raffiche non mollano, ma vedo in lontananza il porto, ci siamo quasi. Queste cazzate si fanno senza pensarci, altrimenti ti caghi sotto, avremo modo più avanti di capire quanto siamo stati in fondo fortunati, visti i rischi che abbiamo corso.
E’ andata così, siamo arrivati al Bar Barbagia del porto di Civitavecchia sani e salvi. Il resto è storia di decine di birre, di insalate, di panini e di risate. Saliamo in nave in orario dove ci aspetta una doccia calda che elimina anche gli ultimi residui di tensione e freddo.
Grazie a tutti e alla prossima.
Danileddu
Scrive Peppe
Il punto di vista dell’infortunato ....
Dopo la lunga tirata in asfalto da Napoli fino alla provincia di Benevento, le stradine iniziano a restringersi e stiamo per iniziare la salita sui monti del Matese, c’è un gruppetto davanti io in mezzo e poi la coda, mi giro a guardare chi è dietro, mi rigiro e vedo che davanti hanno preso un sentiero, sfioro il freno anteriore e senza avere neanche il tempo di reagire mi trovo a sbattere per terra, con l’anteriore che mi è partito davanti.
Cerco di tirarmi su ma la moto mi blocca la gamba e devo aspettare che chi era dietro mi aiuti. La prima impressione è di essermi girato il ginocchio, fortunatamente invece il ginocchio ha retto, mentre ha ceduto la caviglia. Inoltre ho sicuramente pestato il polso che mi fa male. Niente di drammatico comunque, per fortuna, ma sono comunque un bel po’ acciaccato.
Nel frattempo, il gruppo di testa è tornato giù, preoccupato della nostra assenza, dopo aver verificato che mi reggessi in piedi e che potessi guidare, ci dividiamo, era già tardi e non era il caso che rallentassi ancora il gruppo, né potevo permettermi di rischiare di salire con gli altri.
Ci diamo perciò appuntamento alla fine della tappa, a Prata Sannita, per la cena e la nanna. La prima tirata è stata di 50 km circa, fatti senza pause perché volevo arrivare a controllare i danni. Il problema principale è riuscire a cambiare le marce, perché il piede sinistro non ha mobilità, ma su strade normali non è un grosso problema. Arrivo in paese abbastanza presto, chiamo il ragazzo che gestisce la masseria che mi fa prendere possesso della camera e sistemare la moto.
La caviglia è bella gonfia, lo stesso la mano, ma a naso non sembra ci sia niente di rotto, perciò mi metto l’animo in pace e aspetto gli altri, rassegnato al mio viaggio parallelo, fatto di asfalto.
Nei giorni successivi grandi dosi di pomata e di asfalto, cercando di incrociare il più possibile gli altri quando intersecavano strade percorribili, anche se il più delle volte finiva che passassero da tutt’altra parte causa cambi di programma dovuti a strade impervie.
Perciò, almeno, mi sono goduto i pranzi assieme agli altri facendo da avanscoperta sui posti più interessanti.
Devo dire che mi sono comunque divertito in questo viaggio solitario, evitando le strade principali, ho comunque potuto godermi bellissimi panorami, alcune volte accompagnato in brevi tratti da Sergio Puddu, che ne approfittava per rifiatare o per prendersela comoda.
Molto bella la statale del terzo giorno che da Isola del Liri passa per Veroli in direzione Subbiaco, merita di essere fatta con le stradali e infatti ne incrocio a frotte. L’appuntamento sarebbe stato a Trevi del Lazio, per poi salire tutti assieme a Campo Rotondo dove ci
aspettano gli arrosticini. Aspetto a lungo, poi mi arriva un messaggio di Paolo che mi chiede di procurare una vite per il freno posteriore di Sergio. Nei dintorni c’è una grossa ruspa abbandonata da chissà quanto e ne approfitto per recuperare viti di misure diverse. Dopo un po’ mi chiamano per dire che avevano tagliato e stavano arrivando su asfalto, torno indietro fino ad incrociarli, è un po’ tardi ma decidiamo di salire lo stesso per pranzo a Camporotondo, 30 km di strada di montagna, ce la mettiamo tutta e dopo anche un bel pezzo di sterrato arriviamo al meritato pranzo.
Degna di nota anche una strada del quarto giorno, primo appuntamento con il gruppo ad una intersezione con l’asfalto in una zona montuosa di micropaesini, aspetto per un bel po’ ma non arriva nessuno, ero tra l’altro appena entrato in riserva perché il distributore su cui contavo era chiuso e il cellulare ovviamente non prende; dopo tempo sento arrivare una moto dalla direzione opposta, era Danilo, erano sbucati molto prima perché la strada era impraticabile. Mi dona un litro di benza per sicurezza e ci diamo appuntamento per pranzo. Io proseguo e la strada già bella, diventa spettacolare, dopo poco infatti si apre la vista sulla vallata dell’Aquila con il Gran Sasso coperto di nuvole, una meraviglia.
Appuntamento a Città Ducale, dove arrivo facendo un pezzo della Salaria, esploro il paesino, ma non trovo niente di decente dove mangiare, mentre lungo la strada avevo visto diversi posti nei dintorni delle Terme di Cotilia; allora, visto che il piede inizia a darmi più affidamento, prendo la traccia al contrario per andare incontro al gruppo, sono una decina di km in mezzo al bosco con saliscendi divertenti, arrivato quasi alla fine ci incrociamo e spiegata la situazione torniamo indietro a mangiare panini con la porchetta.
Lasciato nuovamente il gruppo mi fiondo direttamente verso l’ultimo alloggio a Calvi dell’Umbria. Chiamo la ragazza che lo gestisce, che dopo poco mi viene incontro; posto molto “particolare” proprio un alloggio per pellegrini, pertanto adatto a noi. La ragazza mi mostra dove possiamo lasciare le moto e mi lascia le chiavi per tutti, dandomi le indicazioni. Già che ci siamo mi fa cambiare il doccino del mio bagno che era rotto, dopo averne provati 3 ne trovo uno che funziona.
Grandi risate quando arrivano gli altri e mostro l’alloggio.
Il proposito per l’indomani è fare la traccia finalmente tutti assieme, ma sappiamo come è andata a finire, ahahahahah!